In principio era il verbo. Fare. Il verbo era fare. Non esiste chiodo che non possa essere raddrizzato, un colpetto deciso ma morbido, il ferro piegato si rompe se non lo si accompagna. Non importa se arrugginito o lucente (rari), un chiodo è sempre un chiodo, inchioda lo stesso. Certo se è proprio incrostato di ruggine non lo usi più, si spezza, quindi lo conservi nella scatolina dei chiodi arrugginiti troppo. C’è la scatolina delle viti buone, quella dei bulloni buoni, quella dei chiodi buoni. Poi c’è la scatolina dei non classificabili, per forma o per popolarità, la più meravigliosa. Poi c’è la scatolina dei “solo in caso di vera necessità”, dove ci metti i chiodi troppo arruginiti.

Con i chiodi cosa ci fai? Ci inchiodi. 2 tavole, più 2 tavole più 2 tavole, più 4 tavole, più 4 tavole fanno un banchetto. Di banchetti c’è sempre bisogno. Ti ci siedi quando devi costruire dei banchetti, per esempio. Di pittura sempre ne avanza, quindi i banchetti sono sempre colorati.

Il mio primo chiodo credo di averlo raddrizzato a tre anni. Forse meno. Mio nonno mi guardava spaventato, non da me, non dal martello, non dalla paura che mi potessi far male. “Vidi ca si ti fai mala mammita s’incazza”. Ovvio. Tranquillo, basta non darselo sulle mani, pensavo io. Ovvio.

All’età di due anni non parlavo, nulla da dire, dopotutto a due anni che vuoi dire? Semmai ascolti. E non mostri, guardi. Per esempio guardi come costruire un banchetto, come dipingerlo di giallo, di rosso o di azzurro, non ci sono altri colori per dipingere un banchetto.

La seconda componente del fare è lo stucco. Quello in polvere, che costa meno e puoi deciderne la consistenza. Lo usi per tutto, soprattutto per tappare i buchi che rimangono dopo aver piantato un chiodo o avvitato una vite.

Avevo 4 anni quando mettevo lo stucco nei buchi delle tapparelle dell’asilo. Erano vecchie, si rompevano spesso, io e mio nonno ci andavamo spesso per questi lavoretti, le suore ringraziavano. Mio nonno si ripagava raccogliendo gli agrumi dal giardino delle suore, ma le suore per fortuna non se ne accorgevano, eravamo discreti.

E poi non è che ci voglia molto, dopo due anni di asilo una suora ancora credeva che fossi una bambina. Il mio caschetto era fuorviante, non sarà stata una fan di Nino D’Angelo. Nemmeno io.

E poi a quei tempi una bambina con la pistola avrebbe fatto esplodere un caso di esorcismo. La pistola era sempre in tasca, con i tempi che correvano, poteva arrivare Brunga da un momento all’altro, e poi Chobin chi lo difendeva?
La mia pistola non ebbe molta popolarità in asilo, soprattutto dopo che il calcio, il manico per i profani, si stampò sulla fronte della suora. Era il primo giorno, cavolo è normale essere nervosi, la mamma ti lascia per la prima volta con degli estranei, tu non capisci cosa succede, vedi una vestita di bianco tipo KuKluxKlan che ti afferra e ti vuol portare dentro un posto che non conosci. A quel punto, ovvio, il grembiule si apre, tipo il cappotto di Neo in Matrix, la mano corre veloce verso la cintura dei pantaloni, sicura cerca la pistola e, prima che se ne renda conto, la suora si ritrova con un buco al centro della fronte. Me lo ricordo bene, povera suor Angelide, era una santa donna, ma fu legittima difesa. In ogni caso la pistola mi fu vietata ed io imparai ad usare la diplomazia.

A parte quel giorno, ero buono. Gli altri bambini già a quell’età rompevano le scatole alle bambine. Danilo per esempio correva su e giù per il corridoio facendo volteggiare la gonna di una bambina, Anna. Mi sentivo superiore a certe bambinate, cavolo, possibile che nessuso si accorgeva di quella vite sporgente sulla tapparella là in alto?? Bah, lavoro per il pomeriggio.

A quattro anni mi ero già rotto dell’asilo, ero grande, volevo andare a scuola. E poi il bagno non aveva la chiave, rischiavo di farmela sotto, i bambini non hanno l’abitudine di bussare prima di entrare, e infatti una volta me la sono fatta sotto. E una volta mi son rovesciato sui pantaloni la minestra. Cazzo se bruciava. E cazzo se le suore erano organizzate. In men che non si dica si spalanca un cassetto pieno di vestiti pronti all’uso, per bambini di ogni taglia. Sembravo uscito da un film di Oliver Twist.

Un giorno, all’uscita, nel corridoio, si spalanca la porta dell’aula che precedeva la mia, salta fuori urlando e correndo un bambino, sembrava avesse fatto goal ai mondiali… questo è proprio scemo, pensai. Andrea, uno dei miei migliori amici negli anni successivi.

All’uscita c’era mio nonno, nonno Ciccio, un uomo di vastità inenarrabile, ma a me, all’epoca, bastavano chiodi e stucco per sentirmi come lui.